Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… perché la lettura è una immortalità all’indietro.
Per scrivere questo articolo, mi ci è voluto molto coraggio e, al tempo stesso, un pizzico di incoscienza, perché credo che dire agli altri quale sia la funzione della letteratura sia un’enorme responsabilità. E ne sento tutto il peso.
Avrei potuto avvalermi delle teorie di grandi studiosi per sorreggere la mia tesi dall’inizio alla fine, come anche mostrarvi idee diverse dalle mie e permettervi un confronto libero e diretto. Tuttavia ho pensato che, almeno per questa volta, fosse giusto dirvi qual è il mio personale pensiero. Il quale, ovviamente, è stato nutrito da tutti gli studi fatti fino a questo momento. Credere di non essere stati influenzati da chi ci ha preceduto è un’illusione, tanto vale riconoscerlo subito e ringraziare tutti i maestri che direttamente o indirettamente ci hanno formato e consentito di elaborare successivamente un nostro pensiero autonomo.
Detto questo, direi di entrare nel vivo dell’argomento! 😉
A cosa serve la letteratura?
Se mi volto indietro e osservo tutti i libri letti nella mia vita non vedo un percorso lineare, ma un labirinto, in senso borgesiano. Scorgo diramazioni, cunicoli, scalinate e strettoie che attraversano lo spazio-tempo. Mi ritrovo immersa in una dimensione disorientante, mentre attraverso multiversi e mi perdo. La continuità temporale svanisce, ma invece di averne paura ne rimango affascinata. Perché il labirinto in cui mi trovo non è solo un luogo in cui ho perso totalmente il senso del tempo e dello spazio, ma è un posto che rivela una pluralità di possibilità, di prospettive e di ipotesi.
La molteplicità delle esperienze vissute grazie alla letteratura è il senso ultimo del mio vagare nel labirinto. Sono tutti e sono nessuno. Sono qui e sono altrove.
La letteratura ci regala vite incredibili, punti di vista che non ci appartengono, sogni che non sono i nostri. Ci getta negli abissi oscuri delle anime e poi, proprio mentre stiamo annegando, viene in nostro soccorso, mostrandoci tutta la sua potenza e la nostra infinita piccolezza.
È inquietudine e sublimazione, è perdersi e riconoscersi.
La scoperta dell’essere umano
La letteratura si muove su meccanismi precostituiti. Le strutture narrative alla base sono le stesse da sempre. A volte sono nascoste talmente bene da non farcene accorgere, altre sono più evidenti. Resta il fatto che una tragedia, per esempio, segue delle regole ben precise. L’hybris verrà punita e non ci sarà mai un lieto fine. Il seme della colpa è piantato nella trama da subito, il tempo dello svolgimento serve esclusivamente a farlo germogliare e fiorire.
Quello che voglio dire è che le storie raccontate nei libri seguono degli schemi precisi per permettere che determinate cose accadano. Un po’ come avviene nella vita. Se rimaniamo immobili nella nostra stanza, potrebbe non accadere nulla, ma se usciamo e andiamo incontro all’avventura, di sicuro qualcosa succederà. E il fatto che si presenti una situazione invece di un’altra non è solo frutto del caso, molte volte dipende dalle nostre decisioni. O forse no.
La letteratura è lì per farci una domanda fondamentale: il destino è nelle nostre mani?
Non c’è una risposta giusta o una sbagliata, ma solo un’elaborazione personale che dovrebbe portarci a riflettere sulla nostra esistenza e sul nostro agire. E non è l’unico quesito che ci verrà posto lungo il tragitto.
Infatti, non sono esclusivamente le strutture narrative ad agire su di noi, ma sono anche i personaggi che costellano le storie che leggiamo. Nel momento in cui comprendiamo che ogni personaggio rappresenta un archetipo in senso junghiano (prometto di approfondire prossimamente il discorso), ci troviamo di fronte alle mille sfaccettature dell’essere umano e del suo stesso agire.
Per dirlo in altre parole: la letteratura ci insegna a conoscerci e a comprendere l’altro da noi, facendoci immergere in storie che non potremmo vivere in prima persona e permettendoci di osservare da vicino, a volte proprio dall’interno, l’essere umano.
Questo è per me il valore più alto della letteratura, il servizio che ci rende. Credo che non esista nient’altro al mondo con questo potere. Nemmeno la sociologia, l’antropologia o la psicologia. Perché, come argomenta con fervore Bloom nel suo Canone Occidentale (riferendosi in particolar modo a Shakespeare) tutto è già contenuto all’interno delle opere che rappresentano il Canone. Per esempio: non è Freud a raccontarci Shakespeare, è Shakespeare a contenere Freud. E, ma questo è solo il mio pensiero, non è la vita a contenere la letteratura, ma la letteratura a contenere la vita.