Prof.?

Settembre è talmente vicino che se allungassi una mano potrei quasi toccarlo, sentirne la brezza, vedere la luce che cambia. È un mese che ho sempre amato molto e, certamente per via del retaggio scolastico, è sempre stato un momento di ripresa, un’occasione per ricominciare di nuovo.

Quest’anno ha, però, un sentore diverso, più intenso e forse anche vagamente spaventoso. Come se le foglie secche fossero cadute in anticipo e scricchiolassero sotto i miei piedi prematuramente, in un’atmosfera rarefatta e anticipatoria.

Questa sensazione potrebbe dipendere dai contraccolpi che ho subito quest’anno – troppo personali per parlarne qui – ma anche dalla nuova possibile vita che mi aspetta. Non so se sono pronta, non sono sicura che faccia per me.

Dal diploma alla laurea

Quando agli inizi di questo secolo mi sono diplomata, accarezzavo l’idea di diventare – da lì a cinque anni, giusto il tempo di finire l’università – un’insegnante. Immaginavo di rientrare a scuola a breve, solo di essere dall’altra parte della cattedra, in quella zona stretta e un po’ più angusta che delimita il perimetro in cui un docente è al suo posto: tra la cattedra e la lavagna. Nella mia visione dell’epoca ero una giovanissima neolaureata che si sarebbe trovata benissimo con dei quasi coetanei a parlare di letteratura e storia.

Tuttavia, mentre frequentavo l’università, sono accadute delle cose – la vita, in poche parole – e il ministero ha pensato bene, nell’arco di cinque anni (i miei cinque anni) di rimescolare le carte in tavola e impedirmi l’immissione alla classe di concorso per l’insegnamento che avevo scelto (che non era lettere, ma questa è un’altra storia). A sei mesi dalla laurea mi sono ritrovata quasi a mani vuote, con la consapevolezza di dovere aggiungere almeno un altro anno al mio percorso per recuperare i crediti per insegnare storia dell’arte o lettere. Alla fine ho deciso di laurearmi in corso e di posticipare il problema di qualche mese, considerando anche le mie, ai tempi, precarie condizioni di salute.

Per farla breve, dopo essermi quasi rimessa, ho valutato concretamente tre possibilità: andarmene in Germania e tentare la professione di dramaturg, inseguire il sogno della carriera accademica facendo un dottorato e ripensare al mio inserimento a scuola in una classe di concorso esistente.

Dalla laurea al dottorato (e all’editoria)

Andare in Germania in quel momento non mi è stato possibile e accedere a un dottorato mi sembrava più inarrivabile che diventare un’astronauta, così mi sono indirizzata di nuovo verso la scuola. In uno dei tanti settembre della mia vita, mi sono così iscritta a una seconda laurea magistrale e ho lavorato un anno come educatrice di sostegno (sia a scuola che a domicilio).

La vita aveva, però, in serbo un altro cambiamento per me e a quattro esami dalla seconda laurea ho trovato un posto dove fare il dottorato (qui trovi un vlog dove racconto meglio il mio percorso universitario): non potevo perdere quell’ occasione, la sognavo da troppo tempo. Così ho sospeso gli studi e ho iniziato il dottorato, pensando di finirlo nei canonici tre anni. Quello che non sapevo è che all’estero (e in co-tutela) i tempi tendono ad allungarsi (e la mia mastodontica tesi non ha perorato la mia causa!) e di anni ne sono serviti cinque per finire tutta la ricerca che stavo facendo. E, nel mentre, ho anche iniziato a scrivere narrativa: prima il romanzo, poi i racconti. Mi sono ritrovata proiettata in una realtà che non avevo considerato: quella editoriale.

Insomma, per farla breve e riassumere, mi sono ritrovata con un dottorato e alcune pubblicazioni all’attivo. Che fare dunque? Carriera accademica? Dedicarsi alla scrittura? Confesso che tra le due non saprei dire, nemmeno oggi, quale sia la più difficile e quella che meno permette di sostenersi dignitosamente senza dovere fare altri mille lavori nel frattempo.

La bellezza salverà il mondo

Non senza dubbi e titubanze, ho riattivato la laurea sospesa (perché a me lasciare le cose a metà non piace proprio!), cercando nel frattempo di sopravvivere a tutto il resto: lavori da freelance, collaborazioni editoriali e ricerca di post-doc. E mentre terminavo la laurea in lettere, ho realmente iniziato a riaccarezzare l’idea di tornare alle origini, di tornare a scuola. Ma, questa volta, rispetto a un tempo, vedo questa opportunità con timore. Tra me e i miei futuri studenti non c’è più solo una manciata di anni a dividerci, ma c’è quella che a me appare come una distanza siderale. Potrei addirittura essere madre dei più giovani e questo dato di fatto mi sconvolge, perché la consapevolezza di essere adulti (adulti sul serio e nel suo pieno significato) significa divenire responsabili della vita degli altri. Vita preziosa e al tempo stesso fragilissima, che viene messa nelle mie mani. Nella biografia del mio profilo Instagram ho scritto: “Il principio della sacralità risiede nella bellezza delle cose fragili”. E io ci credo, ci credo davvero e profondamente. Ma come ci si può preparare a un compito tanto delicato come quello di crescere delle vite nuove senza spezzarle, senza fare loro del male anche se involontariamente?

Non ho risposte alle mie domande e ai mie dubbi e sono pervasa da un profondo senso di inadeguatezza. Sarò in grado di prendermi cura dei ragazzi e delle loro fragilità? Sarò un’insegnante degna di tale nome?

La ricerca universitaria e la scrittura sono professioni difficili e nobili, ma non portano con sé lo stesso rischio dell’insegnamento. Insomma, fondamentalmente sono preoccupata da quella che percepisco come una responsabilità enorme. Tuttavia, allo stesso tempo, ho anche voglia di mettermi alla prova in questa nuova avventura. Di conoscere i ragazzi, le loro storie e di provare a mostrargli tutta la bellezza presente nelle materie che posso insegnare loro. Perché senza bellezza si muore, perché senza bellezza non c’è speranza e io voglio che tutti sappiano, il prima possibile, quello che un vecchio maestro russo ci ha insegnato tempo fa: «La bellezza salverà il mondo».