La realtà era dotata di volontà, di movimento proprio. La realtà era il frutto di una forza superiore, molto più creativa, audace, fantasiosa di tutto quello che potevamo inventare. La realtà era un enorme complotto pilotato da un demiurgo con un potere ineguagliabile.

Delphine de Vigan
Da una storia vera

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Delphine de Vigan

Quando ci si trova tra le mani un romanzo avviene un tacito patto con il suo autore: si crede alla veridicità dei contenuti, anche se – e lo sappiamo con certezza – si tratta di un libro di fantasia. Si lasciano da parte le possibili  incongruenze del racconto e ci si immerge completamente nell’atmosfera e nella storia che l’autore ha deciso di narrarci. Questo fenomeno è conosciuto come sospensione dell’incredulità (suspension of disbelief, termine coniato da Samuel Taylor Coleridge nel 1817) in cui  il lettore interrompe momentaneamente le proprie facoltà critiche per riuscire a fruire con il massimo piacere di un’opera fantastica.

Del resto, la necessità di credere a quanto si legge trova riscontro nel bisogno umano di identificazione. Da un lato, infatti, le situazioni narrate e i personaggi ci permettono di mitigare il senso di solitudine che pervade le nostre vite – non siamo i soli a provare determinate sensazioni o a vivere una data situazione – dall’altro, attraverso il confronto, scopriamo lati di noi stessi che fino a quel momento erano rimasti celati.
Ma come possiamo sapere dove termina la finzione e inizia la realtà? (E viceversa?).

Questa è la sfida che Delphin de Vigan ci pone: distinguere il vero dal falso, la vita reale dalla fiction.
Immerso in un’atmosfera che richiama il thriller psicologico, Da una storia vera (titolo già di per sé ambiguo per un libro classificato come romanzo) è pervaso da una sottile inquietudine che non si esaurisce nemmeno nell’ultima pagina.

«Ma la verità non c’è. La verità non esiste. Il mio ultimo romanzo era solo un tentativo maldestro e incompiuto di avvicinarmi a una realtà inafferrabile. Un modo di raccontare la storia attraverso una lente deformante, una lente di dolore, rimpianto, rifiuto».

Delphine è un’autrice all’apice del successo. Dopo la pubblicazione di un libro autobiografico si trova di fronte a un bivio: continuare in quella direzione, esponendo se stessa e la sua famiglia ancora una volta o tornare alla fiction?

Ed è proprio in un momento molto delicato della sua vita, come scrittrice e come donna (i suoi figli stanno per andare all’università e lo spettro della solitudine è dietro l’angolo) che L. si insinua nella sua quotidianità. In apparenza sembra l’amica che tutti sognano: presente, disponibile, in grado di gestireda una storia veera anche le situazioni di stallo. Ma, come sempre, le cose troppo belle nascondono un lato oscuro. Infatti L. è schiva (rifiuta di conoscere la famiglia di Delphine e i suoi amici), latentemente aggressiva e vagamente ossessionata da Delphine. Chi è davvero la donna che giorno dopo giorno prende sempre più spazio nella vita della scrittrice e che riesce in un’occasione addirittura a sostituirsi a lei?

In un crescendo di tensione, Delphine si ritrova intrappolata in un rapporto di dipendenza dove non è chiaro quale delle due donne stia effettivamente manipolando l’altra. Al centro di questo tormentato rapporto si dipana la riflessione sulla presunta necessità di raccontare la realtà – strenuamente difesa da L. – e, al tempo stesso, il bisogno di tornare alla fiction: terra di nessuno in cui è possibile dire tutto senza esporsi eccessivamente.

In questo romanzo i confini che separano il regno della fantasia da quello della vita realmente vissuta sfumano, creando una storia che potrebbe essere, al tempo stesso, sia vera che inventata. L’autrice gioca con noi fino all’ultima riga, illudendoci di avere capito cosa sia veritiero e cosa no. Tuttavia, la vera domanda che emerge da questa lettura è la seguente: è davvero importante distinguere il falso dal vero? La finzione dall’autobiografia? E, soprattutto, cos’è la verità?

Link al libro:

Da una storia vera: http://amzn.to/2ImmG8Y